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André Suarès, l'anima incandescente

Aggiornamento: 16 nov 2024

Questo articolo è apparso inizialmente su L'Antipresse n°380 del 12 marzo 2023.


La caratteristica dei geni è illuminarci, anche post mortem, quando i tempi diventano confusi e oscuri. Tuttavia, le stelle più potenti non sono sempre facilmente riconoscibili a prima vista. Dobbiamo imparare a indossare gli occhiali adeguati per distinguerne la luce. Immenso autore francese della prima metà del XX secolo, normalista, grande viaggiatore, pianista, poeta, drammaturgo, pensatore, filosofo, André Suarès, attraverso il suo impegno contro la bruttezza totalitaria e a favore della bellezza e dello spirito, è da leggere o rileggere con urgenza .


Photographie d'André Suarès
André Suarès

Parte 1 (Suarès):

La lotta al totalitarismo e l'invito al viaggio


“Ai miei occhi, non c'è superiorità che nello spirito.

E la grandezza spirituale non esiste e non può esistere senza la bontà, senza la caritas del genere umano, come dice san Paolo." (Suarès, Sguardi sull'Europa)


"Amor che nella mente mi ragiona

Amore, la ragione dell'anima mia."

(Dante)


Quando Hitler salì al potere, pochissimi intellettuali denunciarono la sua politica e la sua follia e capirono il pericolo che rappresentava. Se Hannah Arendt fuggì molto rapidamente dalla Germania (“pensai subito che gli ebrei non sarebbero potuti restare”[1]), Günther Anders, il suo primo marito, testimoniò di aver incontrato una massiccia incredulità, anche tra gli intellettuali che non sostenevano Hitler e il nazismo: "Organizzai discussioni su questi problemi anche nell’autunno del 1932 con la donna che allora era mia moglie, e che era molto più esperta di me in judaicis [2] […]. Si trattava di un seminario che avevo organizzato a casa mia, a Berlino. Il soggetto era in realtà il Mein Kampf, il libro di Hitler. Mettere in piedi questo seminario non è stato facile. Perché gli intellettuali che avevo contattato inizialmente si rifiutavano di prendere sul serio una simile “indecenza”. E c’è voluto molto tempo per far loro capire che niente era più pericoloso sul piano retorico di una “indecenza” ben congegnata. Avrei avuto meno problemi a organizzare a un seminario su Hegel."


Non solo questi intellettuali non erano numerosi, ma i pochi che si preoccupavano di Hitler furono ostracizzati e derisi, compresi Anders e Suarès: “Sapevo che Hitler avrebbe significato la guerra mondiale (mi ero reso ridicolo, in Francia, prima 1933, azzardando questa prognosi)."[3] Dobbiamo quindi rendere omaggio non solo al coraggio, ma anche alla lucidità e al carattere visionario di quei pochi fortunati che seppero vedere il pericolo ben prima di chiunque altro all'inizio degli anni Trenta. André Suarès è uno di questi. Nato a Marsiglia il 12 giugno 1868 e morto il 7 settembre 1948, Isaac Félix Suarès, conosciuto come André Suarès, fu una grande figura intellettuale del suo tempo. Suo padre era un commerciante ebreo genovese, e sua madre, della borghesia ebraica, morì quando Suarès era ancora bambino. Dopo aver frequentato il liceo Thiers a Marsiglia, dove ottenne il premio d'eccellenza, nonché il primo premio al concorso generale francese, e venne subito notato da Anatole France. Stefan Zweig è stato uno dei più grandi ammiratori di Suarès.


Ho scoperto il suo lavoro da giovane, alla Scuola Normale Superiore de la rue d'Ulm, che aveva frequentato anche lui, insieme a Romain Rolland. Tuttavia, Suarès fallì nell'aggregazione storica, questo determinò per lui un percorso di un intellettuale nomade, piuttosto che di un vero e proprio insegnante. Nel 1935 ottenne il primo premio della società dei letterati, poi quello di letteratura dell'Accademia di Francia. Fu uno dei pilastri della Nouvelle Revue française, dal 1912 al 1914, poi dal 1926 al 1940, accanto ad André Gide, Paul Valéry e Paul Claudel. Jean Paulhan fu l'artefice del suo ritorno alla Revue, dalla quale Suarès era stato bandito da Jacques Rivière, che lo aveva tuttavia definito uno dei cinque più grandi scrittori dell'inizio del XX secolo. Per le sue impronte mediterranee, e in particolare elleniche, marsigliesi e toscane, mi sono sentita naturalmente molto vicina a lui, e il suo lavoro mi ha sempre accompagnata. Qualche anno dopo, dopo aver letto Vues sur l'Europe, il destino mi ha fatta approdare al Lycée Thiers di Marsiglia, nel 2005 con l'incarico di preparare i 'colles' per gli studenti che intendevano affrontare i concorsi per l'accesso alle Grandi Scuole, e ogni volta che ho varcato la soglia del liceo, ho avuto un pensiero per Suarès. È giunto quindi il momento di rendergli un pubblico omaggio e di incoraggiare i lettori a leggerlo o rileggerlo oggi, perché se la filosofa Hannah Arendt conserva la sua notorietà post mortem, André Suarès, come Günther Anders, resta invece un autore ancora troppo poco conosciuto. È giunto quindi il momento di riabilitare il lavoro di questi giganti, alla luce di ciò che stiamo vivendo oggi, e di rendere omaggio a questo talento che emana dalla loro integrità. Per me è del tutto ovvio che la casta degli intellettuali benpensanti francesi si sia adoperata rapidamente per rendere invisibile André Suarès, autore davvero notevole per la finezza del suo pensiero e il suo stile letterario, soprattutto perché il suo impegno aveva messo in luce i loro compromessi fin dall’inizio gli anni 1930.



La vita come movimento


Quale terreno comune potremmo trovare tra Günther Anders e André Suarès? Innanzitutto il loro nome non è ancora in primo piano nelle discussioni, come se nascondesse una vergogna, quella di aver denunciato apertamente lo scandalo, come entrambi hanno fatto ciascuno a modo suo. Andando un po' più a fondo nel loro pensiero, c'è, in questi due autori, una valorizzazione della vita come movimento. Günther Anders, infatti, riconobbe di aver individuato molto presto in Heidegger, attraverso il suo pensiero filosofico dell’epoca, una propensione verso il nazismo:


“Essere congelato nel tempo in un luogo fisso non era di buon auspicio, ed era del tutto compatibile con l’ideologia nazista: lo criticavo per aver messo da parte la dimensione nomade dell'uomo, di viaggiatore, di cosmopolita, di aver rappresentato di fatto l’esistenza umana solo come vegetale, come esistenza di un essere che sarebbe radicato in un luogo che non lascerà. […] Allora gli ho espresso, in quel momento, il rimprovero di non concedere all’uomo nemmeno la mobilità dell’animale […] ma di considerare l’uomo fondamentalmente come un essere radicato, come una pianta, e ho insistito sul fatto che una tale antropologia delle radici avrebbe potuto avere conseguenze politiche disastrose secondo i più disastrosi presagi.[4]


Ricordiamo infatti che tutti i totalitarismi vogliono congelare gli esseri nello spazio: passaporti interni, divieti di viaggio, confinamento nei campi, ecc. Per Suarès la vita è movimento. Cullato dal Mediterraneo, fece il suo primo viaggio in Italia, da giugno a settembre 1895, a piedi. Vi ritornò più volte, da settembre a novembre 1902, da maggio ad agosto 1909, nel 1913, poi nel 1928. Trasse dai suoi pellegrinaggi in terre italiane la sua opera Il viaggio del condottiero , in cui si proponeva di definire le città secondo il proprio animo, guidato dalle proprie sensazioni, ma anche dalle grandi menti e dagli artisti che vi hanno vissuto, e che, talvolta, le hanno conquistate: Dante, Piero della Francesca, Beato Angelico, Leonardo da Vinci, Botticelli, Michelangelo, Veronese, Tiziano, ecc.


Eterno viaggiatore, Suarès concepisce la sua libertà nel viaggio, ma questo viaggio non è semplicemente esteriore: ogni viaggio è una provocazione, quella di un viaggio iniziatico, interiore.


“Al termine del giorno più lungo di maggio, quando le ore notturne sono azzurre, ricamate d’argento vecchio, entrare a Firenze per la prima volta a vent’anni, e dirsi ad ogni passo, con un sussulto dal cuore alla mente: 'Firenze, sono a Firenze!' Sono le celebrazioni che non troviamo più e che cerchiamo di raggiungere, con sempre più avidità, nel cuore della vita."


Suarès abbraccia e percorre le città italiane come i corpi delle sue amanti: Siena l'ardente che dona un "bacio in un sorriso mistico", Venezia la tentatrice, tenera, malinconica e magica, Firenze, questa "gran dama, così bella e così cortese", "e anche segreta"… "Bisogna entrare in Firenze, a vent'anni, a tarda notte, e ricevere l'alba in fiore, da un labbro amoroso." Perché è proprio Firenze, la culla della Toscana, a regalare a Suarès il suo più grande stupore, uno «slancio quasi divino», «il fiore squisito dello spirito», «la regione più felice dell'intelligenza»: "Un'emozione dell'ordine più puro, che conosce se stessa così come è vissuta e che si purifica da ogni debolezza sentimentale, tale è la mia impressione di Firenze.» Firenze è ai suoi occhi la 'perfezione di un mondo chiuso', in cui 'la ricerca della bellezza è il puro ardore e genio di questa città'."



La Grecia come rifugio e come ideale


Niente è compartimentato, perché per Suarès tutto è assolutamente interconnesso: filosofia, scienza, poesia, politica, pittura, danza, musica, amore. Tutto è passione e avida ricerca dell'anima nei suoi furiosi trasporti. L'invito al viaggio è un'esortazione dell'anima, l'antidoto al nazismo e, più in generale, al totalitarismo. L'ideale di Suarès è duplice: quello della bellezza ellenica, poi quello artistico del Rinascimento italiano. Dal 1922 al 1929, Suarès scambiò un centinaio di lettere con il grande scultore Antoine Bourdelle, nelle quali, a proposito dei templi, Suarès spiegava al suo amico:


“La vera bellezza è quella che dura, quella che si fissa nelle sue giuste proporzioni una volta per tutte, dove i numeri dello spirito si arrestano nella forma più bella che è dato loro di raggiungere, quella che li realizza e li rivela nello stesso tempo» (lettera del 21 novembre 1923).


Ma resta in questa aspirazione artistica, soprattutto fiorentina, qualcosa di ancora troppo fisso. Uomo del Mediterraneo, da Marsiglia a Firenze passando per Atene, Suarès ricerca soprattutto il movimento della vita pura, quella che si oppone al pericolo totalitario: la dolce vita, la storia, l'ozio, il piacere, l'amore, l'amicizia, la creazione artistica, la bellezza: in un poche parole, l'abbondanza dello spirito. Suarès viaggia per sentire l'incarnazione dell'anima del luogo. Dalla sua opera il lettore capisce che il viaggio è solo un mezzo per sollevare il velo del viaggio interiore. Nel 2025, lo scrittore chiese a Madame Bourdelle di accompagnarlo in Grecia:


"Sono stato invitato a viaggiare in Grecia. Se vuoi, partiamo insieme per Atene... Davvero, in questo momento è in gioco il mio destino: questa è la mia ultima occasione di vedere l'Acropoli e contemplare il mondo disteso ai piedi di una colonna del Partenone. L'altro giorno ho fatto un sogno di una chiarezza abbagliante. Ho visto Licabetto come una pietra d'argento e il Partenone come un fiore d'oro rossastro. Ed ero in mare, un mare viola, scintillante di diamanti. Forse gli dei volevano avvertirmi che non avevo bisogno di andare in Grecia per essere lì."


Per essere lì, o per esserci. Il viaggio interiore, la nostra capacità di fuga immaginaria, è la nostra resistenza al totalitarismo, il nostro luogo di libertà poetica interiore. C'è lì un viaggio che non è solo geografico, ma anche e soprattutto spirituale e storico.


Ma Suarès non ha ancora finito con la Grecia, e tornerà ad evocarla a proposito del nazismo: Atene indica il nord della bussola. Già nel 1930 Suarès si indignò per i roghi nazisti contro l'opera di Heine, ebreo come Suarès. Era perché aveva intuito il pericolo, quello del “ritorno della bestia”, soprattutto dopo aver letto Mein Kampf:


“In questo libro ci sono tutti i crimini che Hitler ha commesso quest’anno, e tutti quelli che potrebbe commettere ancora. Ci sono, li annuncia, addirittura se ne vanta più di quanto non li ammetta. Disse esplicitamente che bisognava dare fuoco al Reichstag, e così fece. E voi state ancora cercando l'incendiario, il colpevole? […] Non vi nasconde che l'omicidio è un mezzo politico, e molto succulento; che tutto è bene per chi vuole liberarsi del proprio nemico, sia esso un individuo o un popolo. […] Di cosa avete bisogno di più di questo libro? Confessa le intenzioni. Tutto è lì e tutto sarà stato lì, qualunque cosa faccia quest'uomo. Sarebbe bene che tutti i francesi lo conoscessero e si impedisce loro di leggerlo."


Le sue Vues sur l'Europe furono accantonate e apparvero solo nel 1938. Esse non svegliarono i francesi addormentati e inerti, anzi portarono l'autore ad essere ricercato dalla Gestapo e dalla milizia, dal 1939. Il lettore può, oltre alle Vues sur l'Europe, fare riferimento ai suoi testi politici contro il totalitarismo recentemente raccolti in un’opera intitolata Contre le totalitarisme (Contro il totalitarismo) [5].


L'antica Grecia non ha mai smesso di guidare l'impegno di Suarès: “la pace richiede che si impongano limiti ai folli che seminano guerra ovunque."[6] L'11 settembre 1939, il poeta scrive un messaggio angosciato a Madame Bourdelle: “Aveva ragione Demostene: ripeteva costantemente agli Ateniesi che non bisogna mai stringere patti con i barbari. Non venne creduto... C'è sempre un Demostene in un'Atene; ma non c’è quasi mai un governo che lo ascolti e ci creda."


Di fronte a questa irrimediabile ascesa del totalitarismo, Suarès celebrava, come contrappunto poetico, la dolcezza mediterranea della vita, in particolare in Provenza, la grandezza della variegata Marsiglia, ancora più sublime, nella sua emanazione vivente, di tutti i capolavori dell'Italia:


“Mai”, scrive Suarès, “ho sentito meglio che a Marsiglia, quanto poca cosa sia l'arte di fronte al prezzo della vita... La bellezza della vita supera tutto il peso del mondo reale sulla bellezza dell'arte e dell'opera del genio... Niente è più bello di questi capolavori effimeri, che l'azione, l'amore, il piacere o il gioco fanno nascere, e che scompaiono con il tempo. […] In una dura mattina di pietra, nel periodo di Pasqua, tra aprile e marzo, se puoi restare in piedi sul balcone di Notre-Dame-de-la-Garde, quando soffia il maestrale e l’equinozio gioca a palla con le barche sul mare si attraversa la tempesta più secca del mondo senza abbandonare lo scoglio. Guarda Marsiglia emergere dal sonno, scrollarsi di dosso la pigrizia che segue il risveglio e correre di nuovo alla vita. Aggrappati alla ringhiera. Sei sul ponte più alto di tutte le navi... Il cielo si sta spezzando. Il grande soffio sparge il sole in polvere d'oro... Stringiti nelle tue vesti, fai la mummia nel tuo mantello: questo vento ti taglia la pelle e ti sbuccia in punta di coltello... E lassù, Marsiho è nudo. Il maestrale gli strappa tutti i vestiti e la nudità rivela lo splendore della città."[7]


L'opera di Suarès non è altro che una lunga orazione allo spirito libero, che “prevarrà sui numeri. E il numero deve saperlo, prima che sia troppo tardi. E se, per caso, i numeri avessero la meglio sullo spirito, sarebbe la fine dell’umanità."[8] La libertà è l'orizzonte dell'uomo, l'amore è la sua forza, e il coraggio, la virtù: "Dobbiamo avere la forza per il bene che vogliamo fare. Dobbiamo quindi avere la forza di imporre la pace a coloro che contano sulla propria forza per imporre la guerra. Quanto più desideriamo il bene, tanto più siamo obbligati a non tradirlo. La debolezza dei migliori è il peggiore tradimento."[9] Nella terra dell’Illuminismo e del trionfo della ragione, Suarès continua a sostenere che la ragione non è né origine né fine, e che affoga nelle proprie aporie, se non è accompagnata dal cuore: «la carità universale non è nata dalla ragione; ma la ragione universale è nata dalla carità."[10] Una dichiarazione salutare, da trasmettere e incarnare senza tregua, in occasione di questa “veglia alle armi”[11].


Continua.


NOTE

Ariane Bilheran, normalista della Scuola Normale Superiore di Parigi (Ulm), filosofa, psicologa clinica, dottoressa in psicopatologia, autrice di numerosi libri tra cui da ultimo Cronache del totalitarismo 2021, Superare i propri mostri interiori attraverso la mitologia.

  1. «Ce qui reste? Il reste la langue maternelle», conversation avec Günter Gaus (28 octobre 1964).

    "Cosa resta?" Resta la lingua materna”.

  2. H. Arendt, che confermò di aver aderito alla resistenza perché ebrea, a differenza di Suarès che rivendicò una resistenza al di fuori di ogni affiliazione ebraica.

  3. Anders, S. Et si je suis désespéré, que voulez-vous que j’y fasse? 

    E se sono disperato, cosa volete che ci faccia?

  4. Anders, G. op. cit.

  5. Suarès, A. Contre le totalitarisme; Textes politiques (1920-1948), Paris, Les Belles Lettres, 2017.

    Contro il totalitarismo; Testi politici.

  6. Suarès, A. Vues sur l’Europe. 

    Sguardi sull'Europa.

  7. Suarès, A. Marsiho.

  8. In Vues sur l’Europe. 

  9. In Contre le totalitarisme.

  10. In Vues sur l’Europe. 

  11. Articolo del 02/12/2023,  «Veillée d’armes», Slobodan Despot, Antipresse 376.





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