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Cronache del totalitarismo 2 - La violenza nella fase totalitaria

Aggiornamento: 16 nov

Cronache del totalitarismo 2 - La violenza nella fase totalitaria


 

Un potere che perde la sua autorità precipita nella violenza. E a questa violenza "dall’alto" risponde, in modo speculare, la violenza "dal basso" che sarà a sua volta utilizzata "dall’alto" per legittimare la propria oppressione. Questa è la fase in cui entreranno alcuni paesi, mentre altri ci sono già.


Qual è la possibile via d’uscita da questo circolo vizioso?


Articolo pubblicato inizialmente su Antipresse n°295.

 

Ariane Bilheran, normalienne (Ulm), filosofa, psicologa clinica, dottoressa in psicopatologia, specializzata nello studio della manipolazione, paranoia, perversione, molestie e totalitarismo.

“Rinunciare alla propria libertà vuol dire rinunciare alla propria qualità di uomo, ai diritti dell’umanità e anche ai propri doveri. Non esiste alcun risarcimento possibile per chi rinuncia a tutto. Una tale rinuncia è incompatibile con la natura dell’uomo.”
J.J. Rousseau, Il contratto Sociale, RCS Libri S.p.A., Milano, 2011.

 

Che citazione curiosa di Rousseau, vista l'attuale situazione che stiamo vivendo, dove tante persone accettano di rinunciare alla propria libertà sotto la copertura di una menzogna, senza avere un coltello alla gola, tutt'altro. Molto semplicemente, perché molti di loro aspirano a preservare le loro comodità e i loro privilegi, ai quali, poco a poco, sono stati incatenati. Felici nello spirito sono i poveri. Beati pauperes spiritu, che ho sempre voluto tradurre, non nel modo tradizionale - cioè rispettando l'ordine delle parole in latino - con "felici i poveri in spirito", ma: "felici nello spirito, i poveri": la forza spirituale è proprio il dono divino concesso agli indigenti, privati di tutto sul piano materiale.


Veniamo al nostro argomento del giorno. Di fronte all’ondata totalitaria, la tentazione di una risposta violenta è sempre più evidente. In termini di esperienza, mi sembra che nel prossimo futuro per alcuni paesi (penso alla Francia), e in corso per altri (in particolare la Colombia), il momento storico della violenza sia inevitabile, come specchio comportamentale della radicalizzazione totalitaria. Ma la necessità fa la legge? In altre parole, la violenza, che è un passaggio nella dialettica storica degli eventi, è comunque legittima?

 


L’approccio totalitario richiede la sua quota di scontri violenti, soprattutto fisici, tra il popolo e chi detiene il potere.


Si tratta di eventi durante i quali le rappresaglie contro la popolazione sono estremamente violente. Le molestie si inaspreranno. È Terrore in senso letterale, quando il popolo, la maggior parte del quale comincia ormai a capire che i discorsi non erano così onesti, intende mettere in discussione il progetto totalitario. Dopo l'affascinante e seducente cattura perversa, si mostra il vero volto, orrendo, odioso, controllante, vigilante su tutte le uscite, comprese quelle di emergenza. Le carte sono scoperte. Nella violenza domestica, questo momento è simile alla scena dello strangolamento quando la vittima, che ora sente un certo disagio in questa coppia che inizialmente le sembrava idilliaca, vuole andarsene ma si rende conto di essere presa in ostaggio. Non te ne andrai più, e se vuoi andartene, ti ammazzo. Questo, infatti, è il passo successivo, quando scopriamo quanto bene sia stato congegnato il piano: riconoscimento facciale, codice QR per accedere agli ospedali, ai trasporti, al distributore di benzina, ai supermercati... Mio Dio, avevano ragione i "teorici della cospirazione", alcuni dei quali erano stati persino più moderati della realtà.

 


Le persone vengono prese in ostaggio in senso letterale!


La violenza nasce quando il potere ha perso la sua autorità ed assume il monopolio sulla violenza. Sebbene la violenza sia strumentale, "il potere trova il proprio fine in se stesso", ci dice Hannah Arendt [1]. Si pone sempre la questione politica dei fini e dei mezzi. In breve, il fine giustifica i mezzi? Il potere non è un mezzo, ma "la condizione stessa che può consentire a un gruppo di persone di pensare e agire in termini di fini e mezzi" (Ibid.). Quando si perde il rapporto verticale e trascendentale (trasformazione, sublimazione e autorità nel rapporto con il sacro) con la violenza, la violenza si esprime nell'orizzontalità delle relazioni sociali. Perché siamo, con il totalitarismo, nella famosa “crisi sacrificale” di René Girard, quella che non stabilisce più il sacro in forma simbolica, ma ha bisogno di sacrificare letteralmente i suoi cittadini.

 

Con il regime totalitario, la violenza rafforza la sua presa: alla violenza del potere senza autorità che intende restare al potere "a tutti i costi" fa riscontro la violenza del popolo che chiede la propria liberazione da un potere divenuto tirannico. “Il regno della violenza pura si instaura quando il potere comincia a perdere”, ci dice Hannah Arendt. La decomposizione del potere statico attraverso la violenza è illustrata dai tentativi comunardi, rivoluzionari e dalla ripresa dello strumento di coercizione attraverso le rivendicazioni popolari. Esiste un corpo a corpo tra il corpo del Principe o del potere, e il corpo sociale del popolo. Ricordiamo che nella paranoia non esiste il secondo grado: tutto è preso alla lettera, quindi il corpo sociale, per le ambizioni totalitarie, è un corpo che va sottomesso. A chiunque si muova verrà tagliata la testa, e la sua vita non varrà più che "la cima di un cavolo", per usare l'espressione usata da Hegel a proposito del Terrore istituito da Robespierre. La violenza è quindi inevitabile in risposta all’ambizione totalitaria, che desacralizza l’individuo, per sostituirlo con la sacralizzazione delle masse, e con l’ideologia basata sull’idolatria.

 


La disintegrazione interna del potere lascia il campo all’esplosione della violenza.


Il potere si radicalizza nella violenza, mentre il popolo, rivendicando la legittimità dell'azione nelle grandi gesta del passato (per i francesi, la Rivoluzione francese, la Comune, i Galli, ecc.), si investe del diritto alla violenza come strumento di resistenza. Trovata la legittimazione nel richiamo al passato, la giustificazione della violenza sarà definita dall'obiettivo futuro. Questa violenza non deve solo essere legittimata nel passato, ma anche giustificata da un’idea grande di futuro, affinché diventi accettabile agli occhi dei movimenti popolari.


Ricordiamo tuttavia che, se la violenza sembra un male necessario nel processo dialettico della Storia, essa è invece radicalmente incapace di stabilire il potere politico. "La violenza può distruggere il potere, è completamente incapace di crearlo", aggiunge Hannah Arendt (Sulla Violenza, Ugo Guanda Editore, Parma, 1996). In questo senso è solo lo strumento di un momento della Storia, poiché la necessaria disgregazione avviene nei terreni naturali. Esiste una legge immutabile di nascita, crescita, maturità, declino, morte e decadimento che governa sia le piante che gli Imperi. Inoltre, la legittimazione nel glorioso passato dei fatti d'armi dei popoli riconquistati al potere, o la giustificazione nel futuro con nobili ideali, tra i quali quello principale rivendicato è quello della libertà, non mettono al riparo dall'arbitrarietà della violenza.

 


L’ideale può rapidamente scivolare in un’ideologia utopica, totalitaria quanto quella del nemico.


Perché si tratta ancora una volta di una psicosi collettiva, di paranoia, che è ancora molto poco compresa e che contamina la psiche, anche quella della resistenza (nel linguaggio, in particolare). Di conseguenza, è comune vedere emergere nella resistenza figure altrettanto spaventose di quelle che si pretende di combattere, utilizzando metodi identici. È opera della paranoia collettiva e dei suoi meccanismi speculari.

L'autorità è il fondamento del potere, il suo fondamento, la sua garanzia di durata sul piano temporale [2]. Esiste una feroce opposizione tra autorità e molestie, come  per le sculacciate infantili, quando l’autorità diminuisce le molestie aumentano, e quando l’autorità è al vertice, le molestie rimangono al livello rasoterra. Per Hannah Arendt, la violenza non è mai legittima, motivo per cui deve inventare una legittimità passata e trovare giustificazione nel suo scopo. Il potere basato sull’autorità, invece, è sempre legittimo; è riconosciuto incondizionatamente dal consenso popolare.

 


Ma, si obietterà, esiste la legittima difesa, che è violenza legittima! E come possiamo liberarci dalla tirannia se non con l'assassinio di Cesare?


Nel contesto totalitario, che è pur sempre diverso dalla semplice tirannia, è ancora più complesso, nella misura in cui i mezzi per liberarsi dal giogo della paranoia collettiva assumono spesso un'importanza sproporzionata rispetto al fine che deve giustificarli e che non viene mai raggiunto. Chiaramente, un aumento dell’arbitrarietà è inseparabile dalla violenza stessa.


La chiusura totalitaria e l’inibizione dei movimenti impediscono infatti i tradizionali sbocchi della violenza, che agiscono come regolatori, o coperchi di pentole a pressione, affinché l’opera civilizzatrice, che spesso è solo una sottile vernice, possa essere mantenuta. Così era per alcune feste dell'Antichità, come il Teatro Greco (destinato a purificare le passioni), i Saturnalia (tra i romani i servi prendevano poi il posto dei padroni e viceversa, entro un tempo limitato), o, più vicino a noi, il Carnevale per esempio. Questo istituto sociale, se non politico, di scarica degli impulsi ha permesso di mediare e controllare la violenza che ogni persona porta con sé, per ritornare a un ordine delle cose nuovamente stabilizzato. Mettendo al bando tutti questi strumenti normativi, e le feste in particolare, tra le quali specialmente il Carnevale, il potere totalitario indica di essersi concesso il monopolio della violenza e non ne permette più lo sfogo se non nel modo che esso ha stabilito, nell'eliminazione del simbolico. Si tratta infatti, in questo senso, di una rapina.

 


Indebolire il totalitarismo significa quindi privarlo di questo monopolio della violenza.

 

Ritenere quindi che ogni violenza sia moralmente riprovevole non sembra giusto, perché a volte è l'unico modo per rivendicare un'esistenza libera. La prima violenza subita dagli esseri umani è quella di negargli la libertà, la seconda è che esso non si batte per riprendersela. Non dimentichiamo nemmeno che, nei miti, è anche la violenza che permette l’uscita dalla paranoia divorante: la violenza della castrazione di Urano da parte di suo figlio Crono, su richiesta della madre. La vittima dovrà fuggire o distruggere il marito violento! Ma alla luce dei meccanismi che si rispecchiano nella resistenza al totalitarismo, con una violenza sproporzionata o giustificata "a tutti i costi", è opportuno essere cauti. La violenza, pur essendo un passaggio obbligato e indubbiamente necessario nella dialettica storica, non può essere legittima in sé, almeno rispetto ai valori cristiani che costituiscono la base della nostra civiltà europea, cioè la carità e l’amore del prossimo. L'esperienza dimostra anche che gli esiti sono due soli: o la paranoia si autodistrugge e si consuma, oppure continua la sua logica bellicosa di espansione fino all'annientamento. In ogni caso, è destinata al fallimento, perché vi ricordo che si tratta di un’illusione che necessariamente si scontrerà con la realtà e finirà per svanire, proporzionalmente all’incredulità delle masse.

 

Freud in Perché la guerra? del 1932, disse ad Einstein che ciò che fa ripartire una civiltà sono due pilastri. Il primo è l’amore, la carità “ama il tuo prossimo come te stesso”. Il secondo è l’identificazione, vale a dire la capacità di trovare nel volto dell’altro umano un altro sé, unito da un sacro filo conduttore, mentre il totalitarismo è solo l’incarnazione dell’odio verso l’altro. In ogni caso, la violenza non è mai altro che un momento della Storia. Passerà, come il resto, e dobbiamo anticipare la ricostruzione, a partire dalle nostre radici, della nostra cultura, da ciò che, appunto, ha attraversato i secoli. E’ un lavoro che dobbiamo portare avanti: archiviare, conservare, preservare la cultura dai rastrellamenti totalitari, nella maniera dei monaci del Medioevo, per mantenere e garantire il legame di trasmissione attraverso le epoche dell'Umanità. Almeno, finché ciò sarà possibile, è necessario e sufficiente che pochi si impegnino a realizzarlo.



Livre d'Ariane Bilheran Chroniques du Totalitarisme
Chroniques du Totalitarisme

 

Note

[1] Arendt, H. “Sulla violenza”.

[2] Mi riferisco al mio libro Psychopathologie de l’autorité, Parigi, Dunod, 2019.

 

Commenti

"Ciao, bellissimo testo sul totalitarismo e sulla violenza."

X., 01/08/2021


"Un potere che perde la sua autorità precipita nella violenza. E questa violenza "dall’alto" risponde, in modo speculare, alla violenza 'dal basso'…"

Isabelle H., 31/07/2021


"Ariane, 2 parole: grazie mille! Onori la ricchezza della coscienza umana, quale consapevolezza e quale gigantesca illuminazione per me: sono semplicemente... pazienti che cadono in psichiatria!!??!! È così evidente che a prima vista non è rilevabile. Buona fortuna e grazie con tutto il cuore per i tuoi illuminanti contributi. Mi sto trasferendo!"

Sarah R., 26/07/2021

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