Intervista di Ariane Bilheran a Pierre-Antoine Pontoizeau per i "Cahiers de Psychologie Politique" sulla psicopatologia del totalitarismo
- 3 lug 2024
- Tempo di lettura: 21 min
N°45 / 2024
Norme e normalità - Luglio 2024
Coordinato da Pierre-Antoine Pontoizeau
Intervista su
la psicopatologia del totalitarismo
Ariane Bilheran, ex allieva della Scuola Normale Superiore (Ulm), filosofa, psicologa clinica, Dottore in Psicopatologia. È autrice di numerose opere. Ne indicheremo qualcuna:
La maladie, critère des valeurs chez Nietzsche, 2005 Editions L’Harmattan
Le harcèlement moral, 2007, Editions Armand Colin
Les souffrances psychologiques des malades du cancer, 2008, Editions Springer Verlag
L’autorité, 2009, Editions Armand Colin
Harcèlement en entreprise, 2010, Editions Armand Colin
Manipulation, la repérer, s’en protéger, 2013, Editions Armand Colin
Psychopathologie de la paranoïa, 2016, Editions Armand Colin
Psychopathologie de l’autorité, 2020, Editions Dunod
Psychopathologie de la pédophilie, 2021, Editions Dunod
Nel 2023 ha pubblicatoPsychopathologie du Totalitarisme per le edizioni Trédaniel, nel 2023
Q.1. Lei fa riferimento ad un’opera poco conosciuta, l’atomizzazione dell’uomo attraverso il terrore del sociologo Leo Löwenthal, per spiegare le 6 funzioni del terrore; perché questo riferimento e come si spiega la scarsa notorietà di questa analisi?
Riferimenti alle pagine 53-55.
Quest’opera è magistrale, perché in poche pagine, Leo Löwenthal riesce ad elaborare il ritratto psicologico più preciso che io conosca, soprattutto per la sua epoca, dell’atomizzazione in periodo totalitario, cioè del ruolo esercitato dal terrore per trasformare l’individuo in una cellula isolata e disperata al centro di una grande massa. Questo sociologo e filosofo tedesco legato alla scuola di Francoforte, che emigrò negli Stati Uniti per fuggire dal nazismo, era consapevole dell’annichilimento della cultura attraverso la massificazione così come del cinismo contenuto nel capitalismo.
Ho constatato spesso che i lavori più conosciuti spesso non sono né i più precisi né i più originali. Per trovare la qualità bisogna cercare negli interstizi. La qualità e la quantità raramente fanno coppia, perché nella quantità risiede lo stesso rischio di massificazione ed incomprensione di un’opera. La qualità si merita ed è spesso riservata a degli iniziati che si dedicano ad un percorso di investigazione, d’introspezione, di familiarizzazione con un’opera, cosa che di solito richiede molto tempo ed una solida vita contemplativa.
Il punto chiave del totalitarismo è la trasformazione della gente in massa omogenea retta dalle emozioni indotte e dalle azioni che ne derivano. Per effettuare questa trasformazione, l’atomizzazione attraverso il terrore che descrive Löwenthal è indispensabile. Ho ripreso la concettualizzazione di Hannah Arendt e di Zinoviev del totalitarismo come un sistema, un’architettura propria nella quale il decoro non ha importanza. Questo sistema assoggetta gli individui con la molestia, col terrore ripetuto, e questi ultimi cercano una rassicurazione attraverso un incollaggio di massa. Ho potuto affermare anche che il totalitarismo è una vera "fabbrica di molestatori".
Ho insistito con il mio editore Guy Trédaniel, perché chiedesse l’autorizzazione per la riproduzione di un pezzo di quest’opera all’editore che, anche lui sconosciuto, fa un lavoro di qualità e di applicazione.
Q.2. Possiamo riprendere queste 6 funzioni per capire bene come agiscono, secondo Lei, nella nostra società contemporanea illustrandole e spiegandole?
La Sua domanda è interessante. Avrei voluto dedicare più spazio allo sviluppo di questo tema nel mio libro Psicopatologi del Totalitarismo, ma ho dovuto fare delle scelte.
Funzione 1: distruggere il nesso razionale tra le decisioni del governo e la sorte degli individui.
"L’atomizzazione dell’individuo attraverso il terrore" deve effettivamente farlo "regredire" in uno spazio psichico che è anteriore all’acquisizione razionale. In Psicopatologia del Totalitarismo ho descritto la mia "scala dello sviluppo psichico", sulla quale lavoro da anni e che insegno nei miei laboratori dal 2021. Questa scala è essenziale per capire ciò che succede all’interno di ciascuno di noi e all’interno dei gruppi. Possiamo salire questa scala, oppure cadere, cioè affinare la nostra costruzione psichica e migliorarla, così come si rinforza l’immunità biologica o, al contrario, cadere e ammalarci, in balia delle circostanze se non facciamo attenzione al nostro equilibrio psichico. Ci ho riflettuto per anni e prima di pubblicarla l’ho provata nella realtà.
Le decisioni del governo devono contribuire all’occorrenza ad annullare ogni possibilità di pensare una situazione in maniera razionale, e per fare ciò, l’utilizzo del paradosso è indispensabile. L’ingiunzione paradossale è permanente: paradossi all’interno del discorso stesso (come ho dimostrato in Le Débat Interdit), paradossi tra il discorso e i fatti (commemorare la liberazione dal nazismo accanto ad un proclama nazista, Zelenski), ecc. L’ingiunzione paradossale estrema è il conflitto di lealtà: obbligare qualcuno ad una falsa scelta, per esempio a scegliere tra la sua salute ed i suoi mezzi di sussistenza.
Per riuscire in quella che ho concettualizzato come "regressione psichica", bisogna eliminare i fattori di causalità tra le vittime del terrore ed il boia. Così, le vittime soffrono di un terrore indistinto, senza riuscire ad identificare l’autore di questo terrore. Una cosa molto facile da ottenere, per esempio evocando pericoli immaginari, dove l’autore di questo discorso si presenta come un salvatore. Dal momento che il boia è un intero gruppo, è difficilmente identificabile, e l’ultimatum è il rientro nei ranghi o la messa a morte.
Funzione 2: disaggregare il continuum di esperienza.
Questo è sicuramente connesso al trauma, perché l’esperienza traumatica provoca la famosa dissociazione tra la rappresentazione e l’affetto. Per chiarire, si può avere ricordo del trauma senza provarne l’angoscia che vi è associata o, al contrario, vivere un’amnesia parziale o totale e provare un’angoscia incommensurabile. Inoltre, il trauma costringe in un tempo presente, senza passato né futuro, un tempo dell’eterna ripetizione, con un senso permanente di morte: il soggetto si autodistrugge in maniera aleatoria, permettendo così la realizzazione del terrore totalitario.
Per destabilizzare psichicamente qualcuno, è essenziale introdurre delle rotture nel suo rapporto con l’esperienza. Questo passa prima di tutto attraverso una violenza, e soprattutto attraverso ciò che ho concettualizzato in agosto 2020 come "ondata totalitaria", cioè, i momenti in cui il potere totalitario entra in un eccesso delirante acuto e, come uno tsunami, decompensa verso passaggi all’atto selvaggio. Il potere totalitario crea delle rotture nella stessa vita quotidiana, non solo con le sue dichiarazioni e decisioni traumatiche perché brutali e violente (passaggi all’atto sulla popolazione o su una parte della popolazione, per esempio, delle incursioni), ma anche con l’introduzione surrealista di protocolli interminabili. L’individuo, concentrato sull’osservazione del protocollo, non ne vede più né la finalità né il senso. Abbiamo visto questi multipli protocolli fiorire in questi ultimi anni, e in tutti i campi, il loro obiettivo era di volta in volta controllare la vita degli individui che li subiscono, ma anche la vita psichica di coloro che devono applicarli. Mi ricordo, nei momenti dei controlli serrati del Covid, di essere rimasta due ore all’aeroporto per rispettare dei protocolli amministrativi per un viaggio all’estero, e la signora aveva finito per rendermi tutti i documenti richiesti…eccetto i biglietti aerei, aveva perso anche il senso della mia presenza là, persa nella complessità di tutte le dichiarazioni che doveva fare. Il totalitarismo rinomina il reale attraverso l’ideologia, ci obbliga all’inversione, fino alla “guerra è la pace”, che stiamo vivendo attualmente.
Per fare questo, procede attraverso quella che ho definito in Psychopathologie de la Paranoia, la “colonizzazione liquida” e il “cannibalismo ideologico”. Si tratta prima di tutto di bloccare le persone prima di distruggerle, e per fare questo sono necessarie la colonizzazione delle idee, la pratica dell’amalgama e la vampirizzazione: “Il cannibalismo ideologico è il momento in cui, una volta che il serpente si è stretto attorno alla sua preda, si confonde con essa, almeno per chi guarda dall’esterno, e quindi può portare a termine la sua stretta e svuotarla delle sue energie, estrarre quello che definisco un “pensiero disarticolato” a forza di siderazione e traumi, mentre si finisce di stendere la rete per impedirle di urlare.
Funzione 3: disgregare la personalità.
La personalità si disgrega a forza di shock traumatici, ma anche attraverso la manipolazione di massa. Col terrore, essa si rifugia spesso nel conformismo e nella sottomissione alla massa. Avevo scritto 2 articoli a questo proposito nei numeri 409 e 410 dell’Antipresse, in ottobre 2023 “Il totalitarismo e la maschera della virtù”. Il terrore generato dal potere totalitario porta molti individui a cercare dei rifugi in quelli che ho definito “gruppi regrediti”, nei quali ci si incolla gli uni con gli altri e soprattutto, nei quali i meccanismi della molestia si riattivano, come specchio di quelli subiti dal potere. Löwenthal indica che la vita allora si riduce “ad una successione di reazioni disgiunte a degli shock. I messaggi paradossali di cui ho parlato, così come il “caleidoscopio ideologico”, hanno anche lo scopo di disgregare questa personalità.
Nella sua essenza, il totalitarismo, come ho ricordato e dimostrato in Psicopatologia del Totalitarismo, ha bisogno, per esistere, di creare delle masse che lo sostengano e lo rafforzino. Una massa è un insieme di individui retti dalle passioni e dagli istinti. Non sono più in grado di esercitare uno spirito critico né di separarsi dal conformismo del gruppo. Questo gruppo diventa allora “regredito”. Avevo creato questa nozione di “gruppo regredito” negli anni 2010, quando lavoravo sulle molestie all’interno delle aziende. Certi gruppi, nei quali gli individui erano soddisfatti, felici di trovarsi insieme, di creare insieme, poco a poco si degradano, spesso sotto l’influenza di un elemento destabilizzante che approfitta di una crisi (un individuo che erode i legami del gruppo, con dei processi perversi), e questo stesso gruppo, con gli stessi individui, finisce col litigare, nessuno più capisce l’altro, tutti si aggrediscono. Esso diventa anche il terreno dei processi molesti che vi si iniziano e vi si svolgono. Alcuni individui che andavano d’accordo diventano nemici giurati; avevano un’integrità e oggi si compiacciono di complicità moleste oppure ne sono le vittime. Quello che avevo espresso dal 2006 è che la molestia è necessariamente un processo collettivo, con ruoli definiti, occupati da una o più persone: molestatore, molestato, complice attivo del molestatore, complice passivo, resistente attivo, resistente passivo, ed alcuni testimoni, i quali possono adempiere a funzioni diverse.
Nella misura in cui il sistema totalitario utilizza la molestia come metodo, si ritrova la stessa divisione dei ruoli. La violenza e la perversione esercitate dal potere provocano la regressione del gruppo, che diventa patologico e irragionevole.
La mia diagnosi della regressione psichica a livello collettivo, che sicuramente riguarda anche lo psichismo individuale, non è là per creare delle stigmatizzazioni supplementari, ma per aiutare a decifrare i processi psichici. Detto questo, il momento totalitario genera delle patologie narcisistiche su individui che in altre circostanze non avrebbero ceduto. È importante distinguere la natura di queste patologie narcisistiche, e le loro modalità di alleanza: perversione, paranoia e psicopatia. Chiarisco tutte queste nozioni nel mio libro.
Non mi soffermo molto sui lavori di Milgram o della prigione di Stanford. Non lo faccio per diversi motivi: innanzitutto questi lavori sono noti, e le persone non hanno bisogno di me per ritrovarli. Spero di apportare qualcosa di nuovo nella comprensione. Inoltre, la psicologia sociale mi ha sempre lasciata insoddisfatta, perché spesso resta descrittiva. Non mi è sufficiente constatare il problema. Ho sempre voluto comprendere il perché. Non mi è sufficiente sapere che le persone sono suggestionabili e rispondono alle ingiunzioni dei camici bianchi, Ho bisogno di andare a scavare in profondità su ciò che succede nello psichismo umano, di sondare l’anima umana. Perché un buon padre di famiglia diventa un sadico Kapò, ma l’altro no, nelle stesse circostanze? Perché anche il secondo, col tempo, finisce per cedere? La cronologia degli eventi e la descrizione storica fanno anch’esse parte degli elementi che esamino. Per esempio, non è sufficiente dire che lo shock traumatico provoca l’effrazione psichica. La somma degli shock può ad un dato momento far cedere un individuo, ma non un altro.
Quello che voglio sottolineare è che la tentazione totalitaria è ben presente dentro ognuno di noi.
Ed è direttamente correlata al livello di angoscia che proviamo, ma ci rimanda anche a quello che non è stato solidamente costruito in noi nella nostra infanzia, così come alla nostra eredità transgenerazionale.
Tutti i poteri totalitari cercano di impedire lo sviluppo psichico infantile e di allontanare gli adolescenti dai loro genitori attraverso le ideologie nauseabonde, manipolando la loro aspirazione alla libertà ed il loro idealismo naif.
Ho elaborato la nozione di “regressione psichica”, spiegando dal mio punto di vista le tappe della costruzione psichica dell’infanzia. Per fare questo ho fatto appello alla mia prima formazione professionale in psicologia dell’infanzia, ad autori noti, ma propongo anche una visione che è mia, derivata dalla mia esperienza clinica con i bambini e dalla mia osservazione delle isole totalitarie nelle aziende. L’educazione mira ad aiutarci a costruire dei "bastioni psichici" che sono anche dei “guard-rail”. Ho aggiunto, come ho già detto, ai pilastri dell’antropologia che sono il divieto di omicidio e il divieto di incesto, altri due pilastri, che sono la differenza dei sessi e la differenza generazionale. Questi sono i quattro pilastri che ci permettono di costruire la nostra casa psichica.
Con il totalitarismo, sono questi pilastri che crollano e ci fanno regredire nella vita psichica più arcaica, marcata dal primato dello stato pulsionale. Perché tutti abbiamo attraversato degli stati pulsionali che ci hanno portati, o avrebbero potuto portarci, malgrado noi, a trasgredire gli altri. Tutte le scuole materne conoscono bene la problematica dei morsi tra bambini! Quello che ho definito "regressione psichica" è dunque questo processo attraverso il quale i pilastri della civiltà che abbiamo acquisito con l’educazione, si sbriciolano. Essa prepara il terreno del sistema totalitario, e spinge al potere l’alleanza patologica tra perversi, paranoici e psicopatici di cui abbiamo parlato.
Funzione 4: lottare per sopravvivere.
Ogni potere totalitario provoca negli individui un’angoscia permanente, perché si arroga il diritto di negare i diritti fondamentali. Così, la vita si riduce progressivamente a difendere quei frammenti di quella che dovrebbe essere la nostra vita, alla sopravvivenza e questo, mentre il potere totalitario incoraggia la delazione di tutti contro tutti, impoverisce i cittadini e scatena un movimento di repressione sempre più intenso. Inoltre, questo stesso potere esige il sacrificio di intere parti di popolazione, e tutti temono di diventare i prossimi sulla lista dei "non-conformi". Oggi, gli appelli alla requisizione, alla mobilitazione e all’estorsione dei cittadini con la prospettiva della guerra in Ucraina fanno presagire un mondo nel quale la propria salvaguardia diventerà difficile. Il totalitarismo mira alla dominazione sulla vita intima dei soggetti, e per fare questo, inizia un’opera di contaminazione dell’integrità individuale e di ciò che ho definito "integrità collettiva" dei gruppi. Si tratta di un sistema regressivo nel quale si demoliscono quelli che ho concettualizzato come i nostri "bastioni psichici", e soprattutto quelli che ho definito i "quattro pilastri della civiltà", cioè, il divieto di uccidere, il divieto di incesto, la differenza dei sessi e le differenze generazionali.
Funzione 5: ridurre allo stato di materia naturale.
Secondo Löwenthal, con il terrore l’umanità è ricondotta alla sua “materialità naturale”, cioè alla sua corporalità; potrei aggiungere, alla sua forza lavoro, (come nei campi di lavoro) o allo stato di mercanzia, come nella banalizzazione della compravendita dei neonati. Con il potere totalitario, l’uomo, ridotto ad una mercanzia, non serve più, quindi è destinato ad essere distrutto. È il prototipo dell’“essere umano usa e getta”. Il capitalismo senza limiti si accorda a questo stato di materiale naturale, e alla classificazione di certi esseri umani come "non-essenziali", o "inutili" dal punto di vista della forza produttiva, perché saranno per esempio sostituiti con delle tecnologie o con l’intelligenza artificiale, presagio di questa eliminazione. Per questa ragione ricordo che l’ambizione totalitaria non è soltanto alienazione, ma la trasgressione, l’assorbimento, il cannibalismo del pensiero e della sua materia fino all’ annichilimento del soggetto umano.
Ricordo che Hannah Arendt aveva definito il totalitarismo come "L’ambizione al dominio totale, (che è) internazionale nella sua organizzazione, universale nel suo fine ideologico, mondiale nelle sue aspirazioni politiche."
Per raggiungere questo dominio è necessario che "il fine giustifichi i mezzi", cioè che si sia autorizzati ad utilizzare come un mezzo ciò che non lo è. È lo slogan totalitario, e un “principio di necessità amorale”, secondo Hannah Arendt, o, piuttosto chiaramente, immorale. Avere in testa questo slogan è molto pratico: esso permette di inserire tutti i gruppi regrediti in un processo totalitario. È sufficiente che essi si adeguino a "il fine giustifica i mezzi", dunque che aderiscano all’idea che si può molestare, rubare, uccidere, ecc. “purché sia per una buona causa”. Si evoca questa regressione anche quando si chiede di tacere sulle minacce all’integrità in nome dell'"interesse superiore del gruppo". È esattamente ciò che, in altre parole, affermava Camus in un articolo intitolato "Democrazia e modestia", dal suo diario Combat del 20 aprile 1947:
"Ogni volta che una voce libera proverà a dire ciò che pensa, un esercito di cani da guardia di tutte le razze e di tutti i colori abbaierà furiosamente per coprirne l’eco."
Funzione 6: assimilarsi ai terroristi.
Löwenthal indica che il terrore è all’apice quando la vittima si sottomette agli aguzzini:
"Possiamo immaginare un trionfo più grande per un sistema, dell’adozione dei suoi valori e dei suoi meccanismi da parte delle vittime impotenti?"
A forza di crudeltà, il terrore si diffonde tra la popolazione e si autoalimenta, in una "crescente oppressione." L’orizzonte è chiuso, la disperazione si fissa, le vittime si sottomettono sperando nei periodi di calma o di minor violenza. Il metodo del potere totalitario è la molestia sulle popolazioni, molestia che studio dal 2006 come un processo collettivo, uscendo dalla visione binaria molestatore/molestato ed evocando lo “Stato molestatore”.
Indicavo allora che la molestia funziona necessariamente in rete, come il capolavoro di ogni potere paranoico. La logica della molestia è "sottomettere o dimettere", e lo scopo è portare lo psichismo della vittima all’autodistruzione. Bisogna aggiungere che alcune vittime, per mimetismo, diventano loro stesse aguzzini. Questo "divenire aguzzini" è ciò che spiego con la mia "scala dello sviluppo psichico", con le modalità di ciò che ho definito "regressione psichica" fino alla perversione, la paranoia e la psicopatia. A furia di vivere, di vedere e di subire il terrore, lo psichismo può, attraverso l’identificazione con l’aggressore (che descrivo nel mio libro) diventare egli stesso un terrorista. È, per esempio, tipico dei parvenu del sistema totalitario: quei capetti opportunisti che si improvvisano controllori sadici e torturatori. E’ attraverso la molestia e lo studio della psicosi paranoica, e soprattutto quello che ho definito "contagio delirante", che comprendiamo i meccanismi di alienazione e del delirio nelle sette, e del reclutamento terrorista.
Q.3. Lei spiega che il totalitarismo esercita una predazione della vita intima assassinando l’individualità, pensa che si tratti di un’esclusività di questi regimi, oppure possiamo dire che la pubblicità, la propaganda eserciti anch’essa una tale predazione?
Riferimenti alle pagine 87-89.
Il mio contributo, prima di tutto, è stato l’aver utilizzato la psicopatologia tradizionale per diagnosticare il totalitarismo come un momento paranoico collettivo, per applicarlo al totalitarismo, alle masse. Detto ciò, neppure questo mi bastava. Dovevo spiegare, ed è su questo punto che sto lavorando da anni, i meccanismi precisi di questo "contagio delirante". Molti autori prima di me hanno parlato di "virus" (Hannah Arendt), di "infezione" (V. Klemperer), di epidemia totalitaria (A. Camus). Klemperer, il filologo (che ha lavorato sulla lingua dei nazisti) è indubbiamente quello che ha studiato il problema più da vicino, diagnosticando l’esistenza - senza poterne nominare la natura - di un problema psichiatrico generale della popolazione, che si lasciava letteralmente conquistare dal delirio del Führer.
Questa stessa manipolazione mentale è un problema in sé e va distinta dall’influenza, rimando il lettore al mio libro Manipulation. La repérer, s’en protéger. (pubblicato nel 2013, da Dunod).
La pubblicità oggi è parte integrante del totalitarismo. Essa ha preparato gli spiriti da decenni, attraverso il condizionamento delle masse con la manipolazione. Essa rafforza l’idea che tutto si vende e tutto si compra. Da molto tempo la pubblicità si indirizza molto ai bambini, perché sviluppino il loro ingegno manipolatore verso i genitori per ottenere ciò che desiderano.
La colonizzazione dei nostri spiriti attraverso la pubblicità, oggi, una pubblicità di suoni ed immagini alla quale non possiamo sfuggire che in minima parte (altoparlanti, schermi, ecc.), spiana la strada al totalitarismo occupando i nostri spiriti e sottraendoci il nostro tempo vitale (il famoso "tempo del cervello disponibile").
Quanto alla propaganda, è una forma di pubblicità del potere totalitario.
Questo tormento degli spiriti sostiene quello che ho concettualizzato come "caleidoscopio ideologico", rimando il lettore alla terza edizione del mio libro Psychopathologie de la Paranoia, che uscirà prossimamente per le edizioni Dunod. Il caleidoscopio è un piccolo tubo nel quale scintillano piccoli frammenti liberi di vetro colorato, che si riflettono su un gioco di specchi, producendo combinazioni infinite. Il "caleidoscopio ideologico" è dunque la successione rapida e cangiante delle ìdeologie che si riflettono in modo speculare. È esattamente ciò che mette in opera il potere totalitario: l’ideologia in movimento permanente che deve tenere occupato lo psichismo degli individui.
La follia paranoica che si impadronisce del corpo sociale è legata a questa colonizzazione dei nostri spiriti, e autorizza l’espressione della violenza nel corpo sociale, con zone di totale impunità, come i social network. Oggi io ne sono una vittima, campagne deliranti di calunnie possono scatenarsi in pochi minuti per cercare di distruggere la reputazione e l’onore di qualcuno la cui voce disturba il potere e le sue ambizioni totalitarie.
Vorrei insistere sul fatto che diagnosticare una follia paranoica che si impadronisce del corpo sociale non sarà un possibile pretesto per esonerare dalle responsabilità penali. Vedo regolarmente il mio discorso ripreso, grossolanamente semplificato e reso con un senso che non è il mio, allo stesso modo voglio ricordare che dal 2010 ho avuto dibattiti con grandi penalisti sulla necessità di non applicare la non responsabilità penale alla paranoia, anche se si tratta di una psicosi, per almeno tre motivi.
Il primo è che il paranoico sa molto bene cosa sta facendo (soprattutto la molestia), dunque ha coscienza della gravità delle sue azioni, ma le giustifica con una pseudo "legittima difesa", oppure perché "il fine giustifica i mezzi". Per chiarire, si può dire che l’ideologia giustifica il sacrificio con la paranoia. Per esempio, "salvare il pianeta" giustificherebbe il maltrattamento e la soppressione degli individui. "La lotta contro il terrorismo", giustificherebbe i peggiori sacrifici umani (guerre, genocidi, ecc.).
La seconda ragione è che la società dovrebbe strutturarsi intorno ai principi della filosofia del Diritto, dunque della protezione dell’integrità degli individui. Bisogna rimettere al centro i divieti della civiltà come struttura simbolica e legale della società, ciò che le permette un funzionamento civile.
La terza ragione è che il delirio paranoico aumenta se non incontra limiti, in particolare nella Legge. Illustro il rapporto del paranoico con la Legge nel mio libro Psychopathologie de la Paranoia. A questo proposito sono intervenuta anche nella controversia tra Peter Breggin e Mattias Desmet. Tutto impazzisce perché i limiti imposti dal Diritto non esistono più, e il Diritto diventa uno strumento al servizio della sua propria distruzione. Nella mia carriera professionale ho effettuato delle perizie giudiziarie sulla molestia, per le quali ho collaborato con avvocati, soprattutto penalisti. Riprendo il concetto greco di "paranomon", per parlare di questo argomento: Con paranomon Demostene ed Eschino denunciano il crimine di proporre una legge contraria alle leggi esistenti.
Q.4. Lei parla della lingua performante, come segno distintivo, con la scomparsa del reale, non si dovrebbe associare anche l’urbanizzazione, la mediatizzazione, l’allontanamento dalla natura come fonte di un potere che esercita la sua presa sulla vita quotidiana?
(Riferimenti alle pagine da 103 a 106, 121, 122)
La lingua è il primo “media” che agisce sulla nostra rappresentazione del mondo che ci circonda. Le peggiori manipolazioni avvengono attraverso la lingua, come ho dimostrato nelle mie analisi sulla manipolazione della lingua e sul suo avvelenamento attraverso processi di decostruzione e ricostruzione volti a creare quello che ho definito un "pensiero disarticolato". Fra tutte le prime ipotesi che ho avanzato nel 2007 in un piccolo libro su Il Delirio. c’era anche quella dei primi principi erronei del ragionamento, che sono per la maggior parte del tempo dissimulati. cosa che fino ad allora non era mai stata oggetto di una teorizzazione semantica.
In questo caso la mediazione di cui Lei parla è centrale. Questa mediatizzazione è ancora più potente quando utilizza l’immagine, cioè le rappresentazioni pre-linguistiche, i pittogrammi, per riprendere l’espressione di Piera Aulagnier.
Ovviamente si possono anche aggiungere, come fa Lei, i multipli tentativi di sradicamento, nel senso proprio (allontanamento dalla natura e urbanizzazione nata dalla rivoluzione industriale), la mancanza di educazione strutturante e d’istruzione saggia, e molte altre cose. Viviamo in un’epoca di grande squilibrio per l’umanità, in particolare, per il suo allontanamento dalla natura. E’ proprio l’osservazione attenta della natura che mi ha permesso di capire certi meccanismi della vita psichica, perché conservo sempre un approccio sistemico, cioè di intreccio tra l’individuo e il sistema nel quale si inserisce. A questo proposito, credo che sia importante dire che il mio approccio alla vita psichica non è settoriale né essenzializzato. Le categorie che distinguiamo, in particolare nella nosografia, devono essere maneggiate con precauzione, e devono essere intese più come strumenti di chiarezza, che come strutture fisse. Più approfondisco le mie ricerche, più mi rendo conto che il normale sfiora sempre il patologico e che “essere normali”, o basilarmente nevrotici, oggi è un esercizio di equilibrismo in un mondo che affonda sempre di più nella paranoia. Questo mondo, così facendo, crea sempre più individui paranoici psichiatrizzando - come hanno sempre fatto i poteri totalitari -, il sano di spirito come “paranoico”. Perché con la paranoia, colui che dà del paranoico all’altro è spesso lui stesso, quello paranoico. È un peccato che i professionisti della salute mentale non studino di più i meccanismi all’opera, ma questo presuppone di lavorare in profondità sul diniego, su ciò che ho concettualizzato come "il diniego del diniego", la "regressione psichica" (presente in particolare nei “gruppi regrediti”), a partire da questa "scala dello sviluppo psichico" di cui ho parlato supra, presentata pubblicamente nel 2023, dopo anni di sperimentazione clinica. Ho portato avanti anche la mia indagine sulle cause di quello che definisco "contagio delirante" che è al cuore dei processi paranoici. Si è trattato, per me, di capire, nell’interazione dell’individuo e del sistema, come si mettono in movimento i diversi processi psichici di alienazione, che si dovevano qualificare.
Con questa "contagiosità", la psicosi paranoica dà effettivamente del filo da torcere a tutti i professionisti. Essa è poco rilevabile, perciò ci si può molto rapidamente ritrovare imprigionati nel delirio senza accorgersene, come nell’opera teatrale Le Baccanti di Euripide, nella quale la lezione è che chi non riconosce il dio della follia (Dioniso), quindi la propria propensione umana alla follia, è esposto alle peggiori estremità. Conoscere questa patologia è essenziale, ma soprattutto per i professionisti e le istituzioni, soprattutto in ambito della protezione dell’infanzia, ma anche in certi posti all’interno delle imprese la cui missione è di prevenire la molestia ed i rischi psicosociali, facendo in modo che essi non si lascino più così facilmente manipolare, perché il profilo paranoico focalizza tutta la sua attenzione a fagocitare nel suo delirio e a farsi passare per vittima mentre invece è l’aggressore.
Q.5. Per finire, Lei affronta la questione della dignità citando alcuni filosofi: Kant, Weil. Come comprendere la scomparsa della dignità su un piano psicologico? Dignità di sé? Dignità dell’altro?
(Riferimenti alle pagine 263 e seguenti).
È vero che la dignità è una nozione di filosofia politica. Nel libro cito Kant per definire la dignità attraverso il suo contrario: il prezzo. L’opposizione dignità/prezzo indica che la dignità non si può né vendere né acquistare; essa non ha prezzo, non è quantificabile né misurabile, ma sacra. L’amicizia, per esempio, presuppone una dignità: essa è tradita quando uno dei due vende questa amicizia, o la scambia per un interesse che ritiene "più grande".
Difendere la dignità presuppone l’indignazione morale, la rivolta che reclama il diritto all’integrità contro ogni reificazione o animalizzazione della nostra condizione umana.
Se dobbiamo rapportare il concetto di dignità alla psicologia, sarebbe senza dubbio legato alla stima di sé e dell’altro, dunque all’alterità. Attribuire un prezzo ad ogni cosa ed agli altri corrisponde alla perversione, cioè al godimento ricavato dallo sfruttamento, lo schiavismo, la strumentalizzazione, l’umiliazione dell’altro. Nella mia scala dello sviluppo psichico, di cui parlo in dettaglio nel mio libro, la barriera della dignità è trasgredita dalla regressione nella perversione. La dignità presuppone l’alterità: io contemplo la mia sofferenza nell’altro, e lungi dal ricavarne godimento, essa amplifica la mia empatia.
Dunque, come comprendere la scomparsa della dignità? Con la caduta in un’era in cui l’immagine soppianta il ragionamento, con il narcisismo primario nel quale ciascuno pensa soltanto al proprio interesse, i nostri bastioni psichici si sbriciolano e provocano la regressione psichica in un ‘di qua’ della dignità, che è la perversione ordinaria, quella che giustifica gli "essenziali/non essenziali", "utili/inutili", "buoni per l’eutanasia", "che non devono nascere", ecc. La banalizzazione cioè la legalizzazione del traffico umano, per esempio, con l’acquisto e la vendita dei neonati, non potrebbero esistere che in un’epoca di indegnità.
Q.6. Per concludere, cosa si propone, fondamentalmente, con questo libro?
Quello che vorrei fare con Psicopatologia del Totalitarismo, è presentare una grande parte delle mie ricerche, che non avevo ancora reso pubbliche. Queste ricerche mi hanno tenuta occupata per più di due decenni. Dal 2020, le mie ricerche e le mie osservazioni del momento, mi hanno dimostrato fino a quale punto le mie ricerche precedenti, delle quali questo libro è il frutto, hanno avuto prova che il paradigma della psicosi paranoica è essenziale alla comprensione dell’emergenza e del prolungamento di un totalitarismo di massa. Da anni sto concettualizzando l’applicazione di una chiave di lettura psicopatologica al totalitarismo, a partire dalle mie ricerche sulla paranoia, riprendendo a mio modo l’inchiesta, dove Hannah Arendt si era fermata: sull’impasse della "banalità del male". I miei libri fanno parte di un’opera che progredisce continuamente e studia questa "banalità del male" approfondendo certi aspetti: esse si rispondono e si completano. Così, per capire bene Psicopatologia del Totalitarismo, è essenziale leggere anche Psicopatologia della Paranoia, che fa il punto su questa "follia ragionante" di massa in periodo totalitario, ma anche Tout sur le Harcèlement! (2 tomi) che fa il punto sui metodi e riassume le concettualizzazioni e le ricerche cliniche di tutta la mia carriera sul soggetto.
Allo stesso modo, il totalitarismo risponde ad una situazione sociale di perdita di autorità, dalla culla alla morte. Tutti i terreni nei quali nasce la molestia non sono più regolati dal rapporto trascendente con l’autorità, rimando alla lettura del mio libro Psychopathologie de l’autorité [6] pubblicato nel 2015.Per perfezionare una nozione, bisogna considerare anche la sua antitesi: nel rapporto col potere, l’autorità è il contrario della molestia. L’autorità autonomizza, mentre la molestia aliena, per esempio.
Nessuna organizzazione patologica potrebbe realizzarsi se l’aggressore non è messo in grado di aggredire. Bisogna che il posto, a livello del potere, sia rimasto vacante, che i gruppi si siano lasciati trasgredire, è questo il senso della frase di Hannah Arendt: i territori fertili del sistema totalitario sono quelli nei quali l’autorità si è indebolita, lasciando il posto libero a quei profili che, non sopportando alcuna autorità per se stessi, intendono imporre il loro autoritarismo agli altri. Dobbiamo dunque analizzare il tipo di terreno sul quale emerge il lavoro sporco della perversione, che pone le basi dell’avvento del sistema totalitario. La perversione trasgredisce e reifica, mentre la paranoia consacra il regno dell’assorbimento e dell’annichilimento. In tutti i casi, è permesso distruggere quelli che ho definito, nella mia teoria, "i quattro pilastri della civiltà" (aggiungendo la differenza dei sessi e la differenza generazionale ai due divieti fondamentali dell’omicidio e dell’incesto dell’antropologia classica), e portare la popolazione a divenire complice di queste violazioni, oppure testimoni ammutoliti e silenziosi, cosa che può infondere un livello d’angoscia inaudito nello spazio psichico collettivo.
Ho pensato anche agli antidoti alla devianza del potere, sia in Psychopathologie de l’autorité, o anche in libri più pragmatici come Se sentir en securité e Soyez solaire! Et libérez-vous des personnalités toxiques. Non ho scritto nulla per caso, e tutte le mie pubblicazioni si inseriscono in un processo, in una architettura, e sono destinate ad aiutare l’individuo ad autonomizzarsi veramente nelle sue decisioni ritrovando la strada della sua libertà.
Bisogna approfondire i temi, se vogliamo avvicinarci alla loro complessità. La mia ambizione personale è stata di costruire un paradigma psicopatologico per spiegare la banalità del male e il totalitarismo. Oggi penso di esserci riuscita, dopo due decenni di osservazione, di riflessione logica, di concettualizzazione e di messa alla prova dei miei concetti nelle mie esperienze cliniche.
Costruisco dei modelli di analisi, perché la gente li faccia propri e diventi autonoma, prendendo ciò che gli interessa. Questi modelli sono il frutto di anni di studi, di riflessioni, di osservazioni sul campo, particolarmente nelle imprese, anche se dal 2020 è diventata possibile, per così dire, un’osservazione sulla società "a grandezza naturale", su scala planetaria, e che ho potuto vivere partendo dalle testimonianze e attraverso il mio proprio vissuto, tra due continenti (Europa e America del Sud). In Psicopatologia del Totalitarismo, ho messo insieme teorie inedite che rispondono al mio bisogno di comprendere. Ma bisogna legarlo al mio lavoro precedente, perché, beninteso, non posso ripetere intere analisi che si trovano nei miei libri precedenti.
Per attraversare questo totalitarismo, che corrisponde ad una malattia collettiva della civiltà, nel vero senso, bisogna riprendere il filo dell’eredità umanistica. L’umanesimo è, è importante ricordarlo, prima di tutto conservatore, perché si inscrive in un rapporto di filiazione con gli umanisti dei secoli passati e di preservazione della continuità del mondo. E anche qui, ce lo ricordava Stefan Zweig, si tratta dei “happy few”. Al contrario della logica quantitativa del totalitarismo, non abbiamo bisogno di essere numerosi, abbiamo bisogno di essere pochi, sufficientemente solidi per rifiutare di regredire nei meccanismi che ho descritto e tenersi in piedi.
Ariane Bilheran, intervista con Pierre-Antoine Pontoizeau
[1] Bilheran, A. 2019. «Contagion délirante et mélancolie dans la paranoïa», in Salute Mentale, n°243, dicembre 2019.
[2] Bilheran, A. 2017. «Terrorisme, jeunesse, idéaux et paranoïa», revue Soins, ottobre 2017.
[4] Bilheran, A. 2021. «La langue trafiquée dans les îlots totalitaires», in la revue québécoise Argument, Politique. Société. Histoire, vol. 24, n°1, 2021-2022.
[5] Bilheran, A. 2023. Psicopathologie du totalitarisme, Parigi, Trédaniel.