Mediazione e molestia sono compatibili?
- 23 lug 2012
- Tempo di lettura: 4 min
In questo momento è molto frequente sentire la soluzione "mediazione" in una situazione di molesta e proporla, senza aver presenti i pro e i contro di un simile suggerimento.
I pericoli di una mediazione "non chiarita" in materia di molestia.
La mediazione è un invito, da parte di un terzo neutro, imparziale, indipendente, professionale, a risolvere i conflitti attraverso dei processi di trasformazione psichica suscitati nelle due parti, riunite volontariamente.
Si può trattare, per esempio, di imparare a vedere la situazione da un altro punto di vista, di negoziare il tale o il talaltro punto di interesse apparentemente divergente, ecc.
A partire da tre principi fondamentali, vorrei mettere in guardia i professionisti della mediazione e dell’azienda sui potenziali pericoli di una mediazione in situazione di molestia.
Principio n°1: La molestia non è un conflitto.
La molestia è un processo asimmetrico di distruzione intenzionale di uno nei confronti dell’altro, utilizzando dei procedimenti manipolatori (particolarmente nel caso della molestia morale). Si tratta di uno strumento del terrore psichico e del totalitarismo politico.
"La molestia mira alla distruzione progressiva di un individuo o di un gruppo da parte di un altro individuo o gruppo attraverso pressioni reiterate, destinate ad ottenere forzatamente dall’individuo qualche cosa contro la sua volontà e così facendo, a suscitare e mantenere l’individuo in uno stato di terrore."
Cf. Definizione di molestia, in Bilheran A. Le Harcèlement moral, Armand Colin, p. 7.
Un conflitto mantiene il libero arbitrio dei due protagonisti, e mantiene una relazione simmetrica, con interessi dissonanti, anche se il conflitto si materializzasse in modo violento (inciviltà…).
Proporre una mediazione in situazione di molestia comporta il dubbio che questa situazione esista realmente e sarebbe dunque come… proporre una negoziazione col proprio boia, il proprio tiranno, il proprio oppressore, il proprio despota.
Richiedere che la vittima faccia lo sforzo di negoziare col proprio boia è un processo perverso perché così facendo si nega l’ampiezza del danno, del terrore e della sindrome traumatica creata dalla situazione di molestia. Dimentichiamo anche che il fatto che solo la vittima si sente colpevole, si vergogna, al punto che lei stessa può dar inizio ad una forma di Sindrome di Stoccolma della molestia vissuta al lavoro proteggendo l’aggressore, minimizzando i fatti, banalizzando le umiliazioni, le discriminazioni, la messa al bando, ecc.
Principio n° 2: La molestia mira a distruggere l’integrità della vittima.
Nella misura in cui la molestia non è un conflitto e si caratterizza dall’abuso di potere reiterato sull’altro, essa implica, per ottenere il terrore, la distruzione dell’integrità (psichica o fisica) della vittima, che si tratti di molestia morale, sessuale e/o fisica. Sul piano psicopatologico, i danni all’integrità creano delle minacce di morte psichica (e/o fisica), e hanno come conseguenza un sentimento di impotenza, una perdita di fiducia nell’umanità, un’angoscia profonda che caratterizzano la sindrome traumatica.
Nella storia, si tratta precisamente di situazioni nelle quali essere neutrali è impossibile, perché essere neutrali significa essere complici. La molestia, nella sua essenza, implica delle situazioni di attentato alla dignità. Perciò, la neutralità del mediatore diventerà aggressione e potrà essere strumentalizzata, all’insaputa del professionista non esperto, dallo stesso molestatore. La stessa cosa vale per la presa in carico terapeutica delle vittime, che implica che il terzo non sia "neutrale" ma riparatore del legame di affiliazione alla comunità degli esseri umani.
Principio n° 3: La mediazione presuppone un processo volontario e non costrittivo delle due parti.
In una situazione di molestia, quando essa viene proposta, se la vittima rifiuta, questa potrà passare per quella che si lamenta ma non fa sforzi per sistemare la situazione. La vittima può dunque sentirsi costretta ad accettare la mediazione (o esserne esplicitamente costretta dall’azienda) sapendo che questo spazio sarà anch’esso il teatro del gioco manipolativo del molestatore, spesso in barba al mediatore, perché si tratterà di un gioco di allusioni, implicite, velate, che sfuggirà a tutti tranne alla vittima ed al molestatore. Il molestatore fingerà di rimettere in discussione in modo assolutamente insopportabile per la vittime, e se ne uscirà, a colpo sicuro, glorificato, mentre la vittima vivrà ancora di più il suo senso di impotenza ed una umiliazione ulteriore di fronte alla manipolazione.
Conclusioni
In conclusione, che necessariamente è sommaria per un tema che dovrebbe essere oggetto di un ampio dibattito, la mediazione sembra essere particolarmente rischiosa nelle situazioni di molestia. Ma la realtà è complessa.
Perché a volte le persone che vivono un conflitto definiscono (a torto) questo conflitto una molestia, anche quando non si tratta di una molestia. In questo caso, la mediazione potrebbe essere indicata, perché si torna al conflitto! Al contrario, certi casi di molestia vengono presentati come conflitti…
Ciò non di meno esistono secondo me, due casi effettivi (gli altri vanno dibattuti o proibiti, come spiegato supra) nei quali una mediazione sembra pertinente in materia di molestia.
Primo caso: quando la persona definisce "molestia" un conflitto che la oppone all’altro.
Secondo caso: quando la molestia è stata giudicata, quando il molestatore è stato giudicato colpevole, quando il pregiudizio è stato riparato (o è in processo di riparazione) quando il molestatore ha iniziato un lavoro di rimessa in questione verso il riconoscimento dell’altro e una presa in conto del trauma subito, quando la vittima ha già iniziato un cammino terapeutico sul suo trauma col quale non deve più combattere.
In ogni altro caso, la mediazione rischia di essere strumentalizzata da processi psichici manipolatori, e potrà anche diventare uno degli strumenti della molestia, all’insaputa del mediatore e dei testimoni che non sanno riconoscere la manipolazione.
Tenuto conto della pericolosità della perversione che può avvenire con la mediazione, con conseguenze sull’aggravamento dello stato psichico della vittima, e della partecipazione implicita dei professionisti potenzialmente manipolati in una situazione di molestia, è meglio essere estremamente prudenti, come principio di precauzione.
Tutte queste questioni meriterebbero ampi dibattiti pluridisciplinari tra psicologi mediatori, giuristi, avvocati e altri professionisti che hanno a che fare col tema.
Speriamo che questi dibattiti possano amplificarsi negli anni a a venire!